Storia della cascina e della cooperativa
La cascina di Aretè è un’antica struttura agricola di pertinenza del complesso dell’antistante monastero di Santa Maria Assunta, oggi occupato dall’Istituto Palazzolo delle suore Poverelle.
La storia dell’edificio risale al 1300 quando rientrava nelle proprietà dell’importante famiglia bergamasca Del Zoppo. Dopo la fuga di questi a seguito del conflitto tra guelfi e ghibellini in città, la residenza divenne monastero guidato dalla moglie di Del Zoppo, diventata badessa dopo la sua morte, incrementando negli anni la sua influenza sul territorio circostante.
La storia del monastero si concluse nel 1575 quando la proprietà venne affidata ad alcuni coloni, per poi passare prima alla famiglia Camozzi, nel 1797 e a partire dal 1869 all’istituto religioso delle Suore Poverelle.
La chiesa romanica, edificata nel 1347, costituisce il gioiello storico e artistico di questo complesso. Circondata da un chiostro a doppia navata, di cui oggi sopravvivono solo due lati, è costruita con pietra del luogo, ornata da inserti in mattoni, in uno stile semplice. All’interno perdurano alcuni degli affreschi originari attribuiti al Maestro dell’Albero della Vita di San Bonaventura.
La storia del luogo si interseca con quella di Aretè nel 1987. E’ in quell’anno che i due agricoltori che gestivano le pertinenze agricole dell’Istituto vanno in pensione. Le suore Poverelle vengono perciò contattate dal parroco del carcere di Bergamo, Don Vittorio Nozza, che si fa portavoce di un variegato gruppo di persone che tra dentro e fuori il carcere da anni ragionava sull’alternativa alla pena.
Si trattava della comunità di San Fermo e di un gruppo di volontari che avevano appena fondato la cooperativa. La loro azione era guidata dal costante dialogo con il carcere e in particolare con il gruppo di detenuti detto “area omogenea” formato nei primi anni ‘80 da detenuti politici che portavano avanti l’idea riabilitativa del carcere ancora prima dell’approvazione della legge Gozzini. Ad accompagnarli anche il Comitato Carcere e Territorio.
Accanto alla riflessione sociale va elaborandosi anche quella ambientale legata al biologico. Un approccio che Aretè adotta a partire dal 1990 in un’epoca in cui la conoscenza sul tema era ancora molto limitata.
Così inizia la storia della cooperativa che ha proseguito nei trent’anni successivi impegnandosi nell’inserimento lavorativo di ex carcerati e, in seguito, anche affetti da malattie psichiatriche.